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LUCKY E POZZO

ovvero: quando è il popolo a creare il proprio dittatore

SPETTACOLO FUORI REPERTORIO

 

Con Lorenzo Pennacchietti e Silvia Sassetti

Disegno luci Marcello D’Agostino

Regia e drammaturgia Andrea Fazzini.

Con la collaborazione artistica di Mario Barzaghi

 

“Dove sono, non lo so, non lo saprò mai, nel silenzio non lo sai, devi andare avanti, anche se non posso avanzare, andrò”.

 

Lucky e Pozzo sono due vagabondi allacciati da un legame indissolubile: una corda che regge in mano Pozzo e che circonda come un cappio il collo di Lucky.

Lucky è una sorta di bestia da soma che trascina il suo padrone lungo le desolate lande della terra, vivendo degli scarti lasciati da Pozzo lungo la strada.

Ma il loro legame va oltre quello materiale.

Pozzo apparentemente è colui che comanda, ordina, che viene condotto come un imperatore, che esterna i propri pensieri, Lucky è invece colui che ubbidisce, colui che si attiva solamente dietro indicazione, è uno knuk, una moderna versione del buffone medievale, un servo utile solamente a servire il proprio padrone.

Ma in questa versione i ruoli gradatamente si capovolgono, emergono in superficie le radici sopite del loro rapporto, e appare sempre più evidente che è Lucky il vero motore della coppia, è lui che decide di essere comandato, è lui che impone a Pozzo il ruolo di padrone.

 

Estrapolati dall’Aspettando Godot di Samuel Beckett, messi in strada e seguiti continuamente durante la loro marcia, lasciati soli, orfani anche dei due compari Vladimiro ed Estragone, Lucky e Pozzo sono come due personaggi in cerca non di un autore, ma di una meta, non semplicemente di un posto dove fermarsi, non di una stasi, ma di un culmine, di qualcosa che spezzi la logorante ciclicità del loro viaggio.

Ricerca vana perché svogliata, lontana perché solamente vagheggiata, mai voluta fino in fondo.

 

Il testo, le parti, i ruoli, sono manipolati, stravolti, anche traditi dal Teatro Rebis, rintracciando nella pulsione all’innovazione una forma di rispetto nei confronti dell’inesausta sete di fuga dal e verso il nulla che ossessionava Beckett., il nulla denso contro il quale sbattere senza senso la testa.

 

“Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”.

 

 

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