TEATRO REBIS
SCARABOCCHI
dai fumetti di maicol&mirco
con Meri Bracalente, Sergio Licatalosi, Fernando Micucci
Scenografie Cifone
Musiche Maestro MAT64
regia Andrea Fazzini
Qualcuno sostiene che Gli Scarabocchi di maicol&mirco siano delle strisce a fumetti. Ironiche e malate. Stupide e violente.
MA
Gli Scarabocchi di maicol&mirco sono un vestito stracciato. Un sassolino nelle scarpe. Il sale nel caffè, il dente da latte sputato in terra. L'incendio di una biblioteca. Il sorriso di un decapitato.
Sono fumetti travestiti da altro. Sono strisce nere sul libro della Storia dell'umanità. Sono la bava di un pennarello scarico. Un omicidio condannato prima di essere commesso.
Sono rossi. Ma il loro rosso non è quello del fuoco, né quello dell'inferno, né quello del tramonto.
Il loro rosso è quello della vergogna del Primo Uomo specchiato per la prima volta.
Gli Scarabocchi non sono esseri umani, non sono personaggi. Sono abbozzi. Proprio come me e come te.
Essi camminano raramente. Più spesso corrono, inciampano, fuggono, si precipitano.
Nello spazio di una battuta c'è il lampo di una guerra, l'infinita lunghezza di una sconfitta, il colore di una bandiera incendiata.
Sono una guerra persa.
Profondi e vuoti. Come un burrone.
maicol&mirco
Lo scarabocchio è un gesto brutale e rapido, che nasce sovrappensiero, una svista, un segno bruciato che rivela un’immagine irrazionale di sé, che ci si affretta a nascondere – o che si accartoccia e butta via.
Lo scarabocchio è il rimosso.
Suo luogo di appartenenza è il margine: gli angoli dei fogli vergini, il retro dei documenti, la verticalità delle pagine.
Scarabocchi sono i “trasparenti” della società, quelli che abitano la zona rossa, la zona proibita.
Il ritmo degli scarabocchi è dissonante, una fallimentare propensione alla melodia, è una danza che si vuole pudicamente tenere dentro ma che emerge beffarda come balbettio del corpo.
Lo scarabocchio è il digiunatore di Kafka, è Lenny Bruce, è il segreto di mio nonno, morto mentre io nascevo e rinchiuso per vergogna in manicomio per vent’anni, sono i compagni di sbornia delle cantine sociali che frequento per evitare la gente che plastifica arte e vita, è la parte più dolce e violenta di me – gli scarabocchi sono le mie debolezze, le mie fragilità, le mie grida, i miei scoperti, tutti i fiati delle mie risate, le lacrime di bile che colano dense dalla mia bocca, la miseria di me che paralizza.
E’ accartocciare tutto questo “io” in un gesto informe e puro.
Lo scarabocchio è il non-detto delle frasi fatte.
E’ filosofia.
Andrea Fazzini