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RECENSIONI

 

Un chant d'amour (2020)

 

TEATRO E CRITICA Genet e i suoi doppi secondo Teatro Rebis, di Enrico Piergiacomi: https://www.teatroecritica.net/2020/08/genet-e-i-suoi-doppi-secondo-teatro-rebis/

Catullo parlava in modo appropriato di odi et amo, Wilde ne La ballata del carcere di Reading enunciava il principio che «ognuno uccide la cosa che ama». Genet e Teatro Rebis affrontano questo tema tradizionale usando il teatro come un paradossale canto di amore verso gli emarginati, il canto della solitudine che essi affrontano e che li porta a commettere atti feroci verso coloro che avrebbero in realtà voluto accarezzare con tenerezza: un atto di accusa dei morti verso i vivi e le loro manchevolezze. Guardare ai doppi del mimo funebre permette così di ripararsi sotto un’ombra «fresca e torrida», che dovrebbe insieme metterci al riparo dalla violenza dei vivi e aiutarci a gettare una luce intensa su questo paradosso del vivere.

TEVEREPOPST - Un chant d'amour. Burattini e cronaca nera, di Ilaria Pernici: https://www.teverepost.it/un-chant-damour-burattini-e-cronaca-nera/

Gli attori in carne ed ossa si alternano ai burattini nel racconto onirico e surreale, quando più realistico, quando più allegorico, che segue un po’ la cronaca e un po’ la letteratura ispirandosi alla pièce I Negri di Jean Genet 

 

PANEEACQUACULTURE, Ancora da Kilowatt Festival, ancora sulla distanza, di Andrea Zangari: http://www.paneacquaculture.net/2020/08/04/ancora-da-kilowatt-festival-ancora-sulla-distanza/

In questo diagramma di prossimità, a latitudine intermedia è Un chant d’amour. Come mettere in scena l’odio?  Pregevoli intuizione e audacia drammaturgica di Teatro Rebis, che qui mette in dialogo I Negri di Jean Genet con i fatti di Macerata del 2018 (l’omicidio di Pamela Mastropietro e il delirante attentato neofascista ad opera di Luca Traini), sdoppiando anche l’espressione scenica nella compresenza di attori e di burattini. Ne risulta un palco insolitamente affollato di questi tempi, coi burattinai che orchestrano il testo di Genet in una sorta di ekphrasis dei fatti di cronaca. L’intreccio dei piani narrativi e dei codici produce un’intrigante tensione fra la figura umana e i fantocci, ibridandone infine i ruoli in un rituale che sposa il corpo inerte a quello vivo, svelandone la sorte comune di corpi agiti. 

 

CENTRALPALC - Kilowatt 2020: edizione da ricordare, di Sandro Avanzo: http://www.centralpalc.com/2020/08/kilowatt-2020-edizione-da-ricordare/

Per certi versi anche Un Chant d’Amour del Teatro Rebis, presentato a Kilowatt come anteprima, può esser considerato una riscrittura, se per scrittura primaria prendiamo i fatti della cronaca, così come sono riportati dai media e dai social. Andrea Fazzini ha adottato il metodo ideato da Genet per I Negri con i criminali che recitano sé stessi in quanto criminali per non deludere chi li vuole vedere come tali e l’ha accoppiato agli interventi di un(a) capocomica/imbonitore a raccontare gli eventi. Così, davanti a una vera baracca di burattini, ha ricostruito per la scena i tragici fatti di matrice razzista accaduti a Macerata nel 2018 a seguito dell’omicidio di Pamela Mastropietro. Con evidenti radici nel teatro di figura per ragazzi, e forse proprio grazie a tali radici, si è rimasti fuori da ogni retorica e da facili impostazioni ideologiche e in più si sono aggiunti stimolanti spunti di riflessione.

 

DRAMMA.IT - Diario Kilowatt 2020, di Maria Dolores Pesce: http://www.dramma.it/index.php?option=com_content&view=article&id=30033%3Adiario-kilowatt-2020&catid=39%3Arecensioni&Itemid=14

Un altra e assai interessante prova della continua sovrapposizione tra letteratura ed esistenza, anche nella più drammatica declinazione delle cronache contemporanee. I noti fatti di Macerata, con l'efferato omicidio di Pamela Mastropietro, e il successivo attentato razzista di Luca Traini, intercettano  “I negri” di Jean Genet, accendendo una parallela rivisitazione tra burattini e attori, piani distinti e complici di amare consapevolezze, nel ricordo di un lontano Massimo Bontempelli. Sottotitolo “come mettere in scena l'odio”.
 

Gabriele Rizza per IL MANIFESTO:

'Una discesa agli inferi che Macerata ha vissuto nel 2018, scenicamente riletta come cabaret espressionista e cronaca visionaria da Andrea Fazzini e Meri Bracalente, macabra didascalia di una escalation disturbante filtrata dai Negri di Genet'.

 

 

Il Papà di Dio (2018)

 

DOPPIOZERO – Umani, vegetali, bestie, dèi alla ricerca del teatro, di Enrico Piergiacomi: http://www.doppiozero.com/materiali/umani-vegetali-bestie-dei-alla-ricerca-del-teatro

Secondo Teatro Rebis, cercatori di teatro sono anche gli dèi, ma non tutti gli dèi. Sono tali solo le divinità imperfette che aspirano alla perfezione, non quelle perfette che col tempo crollano nell’imperfezione. In questo senso, gli attori e i registi del nostro mondo si assimilano al divino, quando coltivano con amore l’arte teatrale. La loro attività imperfetta costituisce, a sua volta, la pratica più importante o autentica che diventa accessibile a un essere umano.

ARTRIBUNE - Il papà di Dio, lo spettacolo teatrale ispirato al fumetto di Maicol & Mirco, di Annalisa Filonzi:  https://www.artribune.com/arti-performative/teatro-danza/2018/08/papa-di-dio-spettacolo-fumetto-maicol-mirco/

Bene e Male, Dio e Satana, sono due fratelli inseparabili, capaci addirittura di creare l’innominabile: il Nulla. L’umanità che si portano dentro, quella proiezione di errore e imperfezione, è allo stesso tempo peccato originale e aspirazione all’infinito, non nel senso più poetico leopardiano, quanto in quello più fisico e terrestre alla Gino De Dominicis.

L'ALTRO QUOTIDIANO - Scarabocchi di scena: i fumetti di Maicol & Mirco, di Federico Betta: https://www.altroquotidiano.it/teatro-scarabocchi-di-scena-i-fumetti-di-maicol-micro/

Questo scorcio sull’aldilà è costruito grazie a un pregevole sforzo che riduce le mille pagine de Il papà di Dio a uno spettacolo che, con una sua coerente drammaturgia, mescola auliche citazioni di Dylan Thomas e Jakobe Boheme al teatro di rivista, l’arte più lirica alla farsa quotidiana.

SILPALCO.IT- Il papà di Dio, di Stefano Coccia: https://www.sulpalco.it/2019/04/16/il-papa-di-dio/

Il meccanismo ad orologeria su cui questa compagnia, forte tanto di pregnanti invenzioni scenografiche che di prossemiche ben studiate, riesce a focalizzare l’attenzione del pubblico, sortisce ogni volta l’effetto di una calamita.

ARMUNIA.EU (CASTIGLIONCELLO) - La residenza ad Armunia della Compagnia Teatro Rebis, Un'intervista di Daniele Laorenza: http://armunia.eu/2018/02/residenza-armunia-teatro-rebis/

Un racconto che vede protagonista la famiglia divina alle prese con i problemi famigliari terreni in una rappresentazione a tratti comica e a tratti anche violenta.

Scarabocchi (2016)

ALIAS IL MANIFESTO - Luca Pakarov

Il Teatro Rebis, in una trasposizione intensa, più di affidarsi agli sketch delle vignette, ha concettualizzato l'astrazione sintomatica dei nostri tempi che ne deriva, mantenendo certo la provocazione di un linguaggio politicamente scorretto, ma allo stesso tempo scandagliandone il lato poetico e onirico.

TEATRO E CRITICA - L’arte e la fragilità, di Simone Nebbia: http://www.teatroecritica.net/2016/10/teatri-di-vetro-larte-e-la-fragilita/

Quello firmato da Andrea Fazzini è un testo che sfrutta delle vignette il carattere espressivo, ironico, talvolta caustico, e lo veicola in una forma perimetrale più ampia, capace di indagare l’esistenza proprio in quelle intercapedini di senso che rendono giustizia e luce agli angoli bui del pensiero, delle azioni, dell’esperienza umana. 

PAPER STREET - La bestemmia senza dio, di Marco Pacella e Giacomo Lamborizo: http://www.paperstreet.it/cs/leggi/scarabocchi-rebis-fazzini-maicol-mirco-teatri-vetro.html

Non c’è perdita e non c’è tradimento in questa traduzione, nel vuoto senza tempo in cui si muovono i personaggi, su un palcoscenico che è uno squarcio nell’intimità più comune dell’esperienza di tutti, si ride disperatamente.

Un esperimento riuscito di metafisica della risata.

ALTRE VELOCITA' - Il taedium vitae che si fa beffe della morte, di Ilaria Mazzari: http://www.altrevelocita.it/teatridoggi/5/baci-dalla-provincia/438/scarabocchi-il-taedium-vitae-che-si-fa-beffe-della-morte.html

Il Teatro Rebis mette in scena l'amara rassegnazione dell'ineluttabile, dove tutti gli elementi della scrittura scenica convergono in un'unica stimmung: il taedium vitae'.  I movimenti degli attori assumono la forma di una complessa “partitura gestuale”, andando ad alimentare una rappresentazione delle profondità umane come multiforme “dialogo corale”, dei personaggi a livello intrapsichico ed intersoggettivo, ma soprattutto dei personaggi con lo spazio in cui sono inseriti. Un richiamo alla drammaturgia dell'angustia tipica di 'A porte chiuse' di Sartre, dove i personaggi sono costretti a condividere il medesimo spazio e a confrontarsi prima con gli altri e poi con se stessi.

LINKIESTA - Quando Leopardi incontra Quentin Tarantino, di Andrea Coccia: https://www.linkiesta.it/2017/05/gli-scarabocchi-di-maicolmirco-a-teatro-quando-leopardi-incontra-quent/

Tra risate a crepapelle e tuffi depressivi profondi come fosse oceaniche, tutti i pezzi del puzzle che negli anni Maicol&Mirco hanno accumulato si rivelano finalmente come un unico, straordinario e insieme vertiginoso ritratto di noi stessi, poveri esseri umani che, senza che nessuno ci interpellasse, siamo stati depositati su questa terra a provare dolore. 

DIMENSIONE FUMETTO - Maicol&Mirco incontrano Plauto… o quasi, di Francesco Pone: http://www.dimensionefumetto.it/scarabocchi-a-teatro-maicolmirco-incontrano-plauto-o-quasi/

Il Teatro Rebis, sotto la regia di Andrea Fazzini, riesce nell’arduo compito di strappare le mutande agli Scarabocchi e mostrarceli per quello che fanno davvero. E quello che fanno non è, dopotutto, far ridere. Quando cala il sipario, si esce dal teatro con la sensazione sgradevole di essere incappati in un errore di fondo. Chi ha riso, difatti, sente di essere stato ingannato, perché, davvero, tutto questo non dovrebbe far ridere ma, piuttosto vomitare; e chi non ha riso, invece, sa che avrebbe fatto meglio a farlo, perché, se di questa scalcagnata vita sulla terra non ridi, allora non ti resta che piantarti una pallottola in testa.

MILANO IN SCENA - Scarabocchi uno spettacolo di Teatro Rebis ispirato alle vignette di maicol&mirco, di Arianna Lomolino: https://www.milanoinscena.it/scarabocchi/

Un silenzio imbarazzante prima dell’esplosione di un teatro che sembra quasi richiamare quello di figura. Scarabocchi non è uno spettacolo scontato. La laconica penna di maicol&mirco trova una sua forma drammaturgica in un testo asciutto e affilato. Andrea Fazzini, autore e regista, pensa uno spazio triangolare: lui, lei e, al vertice, un angelo caduto, più banalmente, umano. Teatro Rebis propone una lettura verticale delle vignette di maicol&mirco, ponendo la satira – e la loro satira – come positivo strumento di conoscenza.

Comunque vada moriremo. Tanto vale farsi una risata. Fine.

RUMORSCENA - In-Box dal vivo: dove si incontrano i migliori 'animali del teatro...' di Claudia Bartalini: https://www.rumorscena.com/06/11/2017/in-box-dal-vivo-dove-si-incontrano-i-migliori-animali-del-teatro

Finalmente qualcosa di nuovo e mai fatto prima.

Se le bestemmie e i gesti violenti hanno indignato gran parte degli spettatori, dobbiamo ammettere che gli attori hanno saputo rendere in carne e ossa degli scarabocchi che sulla carta non hanno neanche una forma definita, portando sulla scena battute pungenti sull’inutilità della vita umana, che vive al solo scopo di morire.

SULPALCO.IT - Nel passaggio dalle vignette al teatro, si è compiuto un piccolo miracolo, di Stefano Coccia: https://www.sulpalco.it/2016/10/16/scarabocchi/

Le più graffianti vignette di Maicol&Mirco prendono magicamente vita. Così ha luogo il miracolo: quello humour nero che già su carta può vantare una qualche ascendenza beckettiana, un afflato esistenzialista indirizzato al nonsense generale, acquisendo tridimensionalità sul palco non perde tali prerogative ma a suo modo le valorizza'. 

SPEZZANDO LE MANETTE DELLA MENTE - Gli Scarabocchi di maicol&mirco a teatro!, di Adriano Ercolani:  http://contezarganenko.blogspot.it/2016/11/gli-scarabocchi-di-maicol-teatro.html

Come rappresentare in carne ed ossa Gli Scarabocchi?  La sfida è folle, insensata, destinata al fallimento. Per questo la rispettiamo con grande interesse.
Com'è lo spettacolo? Bellissimo, disastroso, adorabile, superfluo. Si tratta di una delle cose più intelligenti che possiate vedere a teatro. 

GUFETTO PRESS - La brutalità di un gesto infantile, di Costantino Buzi: http://www.gufetto.press/visualizza_articolo-2222-SCARABOCCHI_di_MaicolMirco__Carrozzerie_not_la_brutalit_di_un_gesto_infantile.htm

Un silenzio irreale accoglie lo spettatore all'ingresso dei tre attori. Dopo un tempo che sembra interminabile, parte la prima di tante riflessioni, apparentemente slegate, su quello che viene presentato quasi come un aspetto maggioritario della vita: la morte.

Gli attori di Teatro Rebis sono al contempo caratteri e maschere, complici anche delle fisicità dirompenti, sfruttate con piena consapevolezza.

LSD MAGAZINE - Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco: dal foglio alla scena con Teatro Rebis, di Lavinia Morisco: http://www.lsdmagazine.com/gli-scarabocchi-di-maicolmirco-dal-foglio-alla-scena-con-teatro-rebis-al-bilbolbul-festival/34236/

Lo spettacolo procede per sottrazione (si procede verso il niente), i personaggi non esistono, ma sono persone di cui sappiamo poco o nulla: immagini interiori che si creano e modellano nella nostra esperienza di spettatori, figure parlanti senza una storia passata alle spalle, ma solo un presente che tende a cercare un finale – il suicidio, l’omicidio, l’apocalisse: si spegne la luce. E’ la fine del mondo? No.

La fine in Maicol&Mirco è solo un segno grafico, puro significante che ruota intorno a quattro lettere, o zona-limbo tra la vita e l’inferno (la zona rossa?), un inferno continuamente comunicante e in cui si sta bene: non è diverso dalla vita. O forse è la zona-rifugio dei disadattati – non in senso spregiativo, ma nel senso dei “non banali”. Da qui vengono in mente due concetti di matrice pasoliniana: “essere morti o essere vivi è la stessa cosa” o “chi si scandalizza è sempre banale”.

ARTALKS - Scarabocchi, di Silvana Costa: http://www.artalks.net/scarabocchi/ 

Nel caso di Scarabocchi, è l’assenza – e non l’essenza – la reale protagonista dello spettacolo. Una serie di assenze cui Andrea Fazzini riesce a dare una straordinaria concretezza impastandole tra loro. Unendo la magia di luce e musica alla recitazione degli attori in scena,  raggiunge e conquista il pubblico che ride d’istinto alla carica comica della situazione ma poi, a spettacolo finito, si ferma a riflettere sul senso dell’esistenza umana, inclusa la propria, meglio che durante una seduta di psicoanalisi. 

UT MAGAZINE - Due spettacoli, due lampi, parecchi tuoni e un fulmine, di Massimo Consorti: http://www.letteraturamagazine.org/2016/10/invisibili-2016-due-spettacoli-due.html

Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco, come si sa, rappresentano il tutto e il nulla, la voglia di porre l'uomo "fuori dalla storia", il politicamente scorrettissimo. L'errore sintattico sarebbe stato quello di proporre in scena le battute dissacratorie e scabrose dei fumetti, invece no, Rebis le ha interpretate, interiorizzate e poi reso pubbliche. 

AFTERCLAP - Pure io, pure te, di Maria Carolina Nardino : http://www.afterclap.it/2018/04/06/pure-io-pure-te/

Che dobbiamo dire?”. “Non lo so”. “Qualcuno può dirmi a che servo? Mi basta anche un indizio”.

Ed è proprio in queste tre iniziali battute che si riassume l’intera filosofia dello spettacolo; si potrebbe quasi già chiudere il sipario, se non fosse che questo non sapere è il punto di partenza per una drammatica e beckettiana ricerca: di sogni, di felicità, di amore, di soldi, o di vita?

Quella che viene messa in scena è un’umanità risibile, povera, sudicia e guasta, la quale è dominata dal colore rosso della Vergogna che l'uomo prova nel vedersi riflesso allo specchio. Ed è proprio lo slogan “FUORI L’UOMO DALLA STORIA” a chiudere lo spettacolo, come una sorta di augurio finale per la natura umana, nella speranza che riesca a evadere ed erompere dal corso uniforme e costante della Storia.

TEATRO E CRITICA LAB - Se applaudite, mi dispiace, di Alessandro Maggetti: https://teatroecriticalab.wordpress.com/2017/05/21/se-applaudite-mi-dispiace-gli-scarabocchi-di-teatro-rebis/

La genialità dello spettacolo sta nell’essere inattaccabile in virtù del suo nichilismo, cioè il rifiuto di ogni valore'.

La genialità dello spettacolo sta nell’essere inattaccabile in virtù del suo nichilismo, cioè il rifiuto di ogni valore. Qualsiasi critica a esso sarebbe infatti mossa sulla base di un qualche principio, che sia estetico, etico o artistico; ma che senso ha, se l’opera ne nega ogni verità e validità?

E’ un’opera che mira a picchiare forte chi la guarda, sputa in faccia al successo e «la consolazione se la tiene nelle mutande»

Signorina Else (2016)

 

GAGARIN MAGAZINE - Lo Schnitzler espressionista di Teatro Rebis, di Michele Pascarella: https://www.gagarin-magazine.it/2018/12/visto-da-noi/lo-schnitzler-espressionista-di-teatro-rebis/  

Lo spettacolo diretto da Andrea Fazzini effettua una sintesi radicale tra immaginario e stile, realizzando una forma espressiva di particolare intensità comunicativa: l’allestimento è segnato in primo luogo da una ricerca forte sulla configurazione dell’immagine. 

Lo spettacolo procede per stilizzazione intensiva e deformante del visibile, non tanto ad esprimere un gusto quanto a oggettivare una concezione del mondo, un sentimento (quello della protagonista, che l’appassionata Meri Bracalente senza posa dis-incarna). Detto altrimenti: la tensione, l’angoscia, il dolore l’ossessione della Figura (Cézanne via Deleuze docet) sono direttamente impressi nella materia scenica.

TEATRO E CRITICA, Teatro Rebis. Puro, Cantiere, di Luca Lotano: http://www.teatroecritica.net/2016/06/teatro-rebis-puro-cantiere/

Teatro Rebis dà alla lettura scenica il valore di partitura musicale con la presenza sul palco del cantante Giulio Bruscantini che in dialogo con Meri Bracalente contribuisce a dare un ritmo allucinato e ipnotico al pensiero della Signorina Else. 

L’intimità e la modulazione della voce febbrile dell’interprete, quasi avvolta in sé stessa, dai colori tenui venati di nero, restituiscono la prossimità del lettore al sentimento della giovane.

eatro Rebis si immerge, affonda nella parola come la signorina Else nel Valeran, per darsi nuova vita. Così come la lettura scenica nella scenografia  di Frediano Brandetti che dalla materia tende alle soglie dell’effimero.

RECENSITO.NET, L'Io e l'Es di Teatro Rebis, di Francesca Pierri: http://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=15014:l-io-e-l-es-di-teatro-rebis-al-teatro-cantiere-la-signorina-else&Itemid=121

È sull'età che ha Else che si concentra il lavoro della compagnia marchigiana Teatro Rebis. Hanno piedi sulle staffe della mente, si muovono a tentoni sfiorando le pareti delle idee per ricostruirle sul palco dove è possibile vederli, non come le marionette di una storia, piuttosto come proiezioni delle più sensibili fantasticherie.
Meri Bracalente ha occhi in cui c'è posto pure per la vita di un'altra, infatti ci entra il passo ostinato di una signorina, appropriandosi delle consapevolezze di una donna, restituendole ingenuità e malizia che il tempo aveva tentato di maturare.

Con la regia di Andrea Fazzini l'attrice è tutta introspezione e disvelamento, il testo narrativo è plasmato sul palco nei luoghi più adatti, persino astratto negli echi della voce di Giuliano Bruscantini, contrappunto melodico delle psicosi di Else

SULPALCO.IT - un adattamento del testo di Schnitzler magnetico e incline al Perturbante, di Stefano Coccia: http://www.sulpalco.it/2016/06/16/signorina-else/

La voce ben modulata di Meri Brancalente è guida oltremodo ispirata ai pensieri e agli stati d’animo della protagonista, la cui fragilità si espone così senza filtri alla vista e – soprattutto – all’orecchio dello spettatore. Sono però i vocalismi attraverso i quali Giuliano Bruscantini, raffinato musicista coinvolto nello spettacolo, si rapporta al racconto delle esperienze di Else fungendo quasi da eco, da spiazzante e umorale sottolineatura emotiva, quel “quid” che fa acquisire alla rappresentazione una diversa e più profonda ricerca del Perturbante, elemento così radicato nella scrittura di Schnitzler.

Cosa vien dopo? (2014)

PAPERSTREET -  Clandestini morgantiani tra le lucciole, di Giulio Sonno: http://www.paperstreet.it/clandestini-morgantiani-tra-le-lucciole-patalo-rebis/

Sono storie piccole per spettatori piccoli e grandi quelle che hanno popolato La Scuderia di Monte San Vito domenica scorsa. Piccole come una filastrocca di Toti Scialoja, vibrata sulle buffe smorfie di Meri Bracalente. Piccole come sono nate, per caso, per piccole nipoti, per gioco, per il senso del non-senso, che non spiega ma conduce, in direzione inaspettata, là, dove la parola scivola via dalla ragione e schiude combinazioni improbabili. Rebis giocano con piccoli oggetti, minimi, perché il teatro non è altrove, è già qui, basta farlo accadere. Non farlo. Accadere.​

Sembra quasi una dolce provocazione il titolo di questa breve filastrocca scenica: Cosa vien dopo? Suscita la curiosità per l’animale che i versi di Scialoja coloreranno di irresistibile improbabilità ogni volta; ma inevitabilmente Cosa vien dopo? sollecita, altresì, domande sull’avvenire: su questo scenario in cui la cultura si muove sempre più a tentoni e, al tempo stesso, su quest’ansia produttiva che sta spandendo grigiume su ogni atto creativo.

Io non so cominciare (2013)

IL PICKWICK -  Disabituati al futuro, siamo come i morti, di Sara Scamardella: http://www.ilpickwick.it/index.php/teatro/item/509-disabituati-al-futuro-siamo-come-i-morti

È stato come assistere al continuo mutamento di un’opera d’arte. Una tela in cui i soggetti, la luce, le ombre, si spostano e cambiano di significato da un istante all’altro. Ogni cosa è studiata alla perfezione, ogni movimento anche piccolo ha una sua ragione d’essere ma sta a noi scoprire il perché della sua esistenza.

Gli attori sono bambole che non parlano ma sussurrano oppure scrivono. La loro voce non proviene dal loro corpo ma dall’esterno. Essi parlano dall’esterno ma noi siamo dentro, in una caverna in cui vive il pensiero, la vita interiore che è anche la morte interiore, l’assassinio di uno spirito avvilito dalla realtà.

È la lotta che ha caratterizzato la vita di Danilo Dolci, la nonviolenza e la parola contro il fascismo, la povertà, la mafia, la guerra. Una vita che dovrebbe ispirare non solo uno spettacolo bello come questo, ma anche tante altre vite.

Del sociologo e poeta, caduto nell’oblio, il Teatro Rebis non ha narrato la storia o le sue gesta come si fa con gli eroi. Si è immerso nella sua visione del mondo, impregnandosi della sua lirica per realizzare uno spettacolo particolarmente affascinante.
Io non so cominciare è uno spettacolo che inquieta, scuote e resta impresso nella memoria. Bellissimo da vedere e da vivere.

 

SIPARIO - Orestiadi : Io non so cominciare - regia di Andrea Fazzini: https://www.sipario.it/attualita/dal-mondo/item/534-orestiadi--io-non-so-cominciare-regia-di-andrea-fazzini.html?

C’è uno spazio neutro che germina luce, capace di azzerare le ombre, un luogo della memoria, del desiderio e dell’oblio - tre figure vicine all’immobilità lo popolano, entrando e uscendo dal buio, proiettando le loro visioni, animando di segni il loro silenzio - a volte la parola evita il controllo, poi viene ripresa e il linguaggio archiviato, dunque mummificato, oppure brutalizzato - circola un’aria di cattività, di imprese impossibili, un’aria di cadute e di metamorfosi. 

L'ADAMO - Io non so cominciare: il silenzio endemico di una generazione, di Lucia Cattani: https://adamomagazine.wordpress.com/2013/05/19/io-non-so-cominciare-il-silenzio-endemico-di-una-generazione/

Sul palcoscenico aleggiano infatti proiezioni allucinate che sembrano provenire direttamente dai più profondi meandri della coscienza e della sensazione, immagini in bilico tra l’onirico e l’incubo ospitate in uno scenario scevro da qualsiasi legame con il mondo reale costruito magistralmente attraverso luci gelide, ombre di spettri in attesa, veli ingannevoli e suoni agghiaccianti, come provenienti da un tenebroso limbo. Protagonisti di questo spazio metamorfico sono tre figure senza nome che, quasi in assenza di contatto, manifestano il loro crudo disagio legato ad una situazione comune di quella solitudine polare di cui parlava Emily Dickinson, un annichilimento esistenziale che degenera nella psicosi.

Si tratta della rappresentazione cruda e universale del dramma dell’immobilità che coglie la generazione contemporanea: questa è frutto di un’umanità non  più capace di reagire, annientata dall’insostenibile peso del mondo, vero e proprio atomo opaco del male, della cui storia già si intravede l’esito, terribile, declamato dalle perentorie parole dell’Antigone “io ricordo un futuro che sembra morto”. 

In questa visione amara ed apparentemente priva di alcun genere di speranza, può essere intesa tuttavia un’esortazione implicita verso la risoluzione dell’apatia che domina il nostro tempo.  

In una realtà dispersiva e frenetica, volta all’esclusivo appagamento dei bisogni effimeri, causa di quei meccanismi distruttivi di isolamento irreversibile, colpevole di produrre automi votati alla rinuncia di sé c’è la profonda necessità di rompere finalmente il silenzio della propria individualità. Dobbiamo scagliarci contro i demoni dell’avidità e dell’autocommiserazione e valicare i veli della solitudine.

Ombra profonda siamo (2012)

 

L'ADAMO - Ombra Profonda Siamo: la rivincita dell’interiorità sullo straniamento sociale, il coraggio della scelta di essere liberi., di Lucia Cattani: https://adamomagazine.wordpress.com/2013/10/02/ombra-profonda-siamo-la-rivincita-dellinteriorita-sullo-straniamento-sociale-il-coraggio-della-scelta-di-essere-liberi/

Ombra Profonda Siamo, oltre il considerevole valore oggettivo e suggestivo realizzato da Andrea Fazzini si carica di un ulteriore pregio che va al di là dell’interesse artistico finora analizzato: l’attività è riuscita a dare voce a persone che si trovano in una situazione di svantaggio ed emarginazione sociale, e ha fatto questo con grande raffinatezza ed equilibrio, riuscendo davvero a far emergere voci troppo spesso dimenticate e lasciate nella solitudine di qualcuno che quasi mai viene considerato nella sua dignità e importanza.

DI una specie cattiva (2010)

KRAPP'S LAST POST - La macerazione dell'anima di Teatro Rebis, di Manuela Rossetti: http://www.klpteatro.it/specie-cattiva-teatro-rebis-recensione

Una donna sommersa dal biancore di un tempo si trasforma in larva, emerge come scheletro di se stessa.

“Di una specie cattiva” dona in 40 minuti non un racconto, ma una serie di evoluzioni emotive e sensoriali, attraverso le quali si percepisce un percorso umano di solitudine e follia. Uno spettacolo ricco di contenuti e riferimenti, da quello iconografico legato al pittore Klimt delle “Tre età” a quello dichiarato del testo, un poema lirico ispirato all’universo poetico di Sylvia Plath.

La parola e il suono, anche se strettamente legati, sembrano lottare tra di loro, proprio come avviene nella mente di una persona in uno stato psichico di panico, di ansia, di terrore. Le parole accavallate, deformate, spezzate, non permettono la comprensione della fonte, ma rendono con estrema verità e anticonvenzionalità l’inquietudine mentale e la confusione interiore di un’esistenza che si sta frantumando.
Il resto è il crescendo ritmico, sonoro, musicale  e visivo di questa rottura. Due ombre sul fondo. Urla. Flash. Il tutto si blocca nel passaggio lento del tempo, che ingoia e immobilizza uno stato tra la vita e la morte, sotto l’occhio silenzioso della luna, “che passa e ripassa come un’infermiera”.

TEATRO E CRITICA, Il tonfo della caduta e il colpo di teatro, di Simone Nebbia: teatroecritica.net/2011/05/il-tonfo-della-caduta-e-il-colpo-di-teatro-quinto-giorno-a-teatri-di-vetro/

Di una specie cattiva, lavoro profondamente vocato alla stimolazione emotiva, sia sonora che visiva; subito mi colpisce una scena vivida, densa, accentrando lo sguardo sulla performer coperta di stralci di nuvole bianche, da cui si libera pian piano per una nascita sghemba che sembra dire – per paradosso – quanto liberarsi sia costringersi alla spoliazione; altro elemento forte è una parola vitale, un testo lirico che si ispira alla ferocia espressiva di Sylvia Plath e ne traccia il difficile rapporto con l’esistenza.

TEATRO.IT - Una serata all'insegna del femminile, di Alessandro Paesanohttps://www.teatro.it/recensioni/teatri-di-vetro-5-quinta-giornata/una-serata-allinsegna-del-femminile

Una istallazione drammaturgica ambiziosa e suggestiva. Lo spettacolo si costruisce attorno alla de-strutturazione del racconto su una voce monologante (registrata) che sviluppa  per suggestioni e lacerti a-narrativi, il percorso emotivo di una donna che non sa riconoscersi nel classico ruolo di femmina, né in quello materno.

Lo spettacolo è messo in scena con impeccabile precisione, tutto è eseguito con pulizia e con un segno distintivo forte e chiaro.

WHIPART - Di una specie cattiva, di Luca Pantanettihttp://lnx.whipart.it/news/7026/specie-cattiva-teatro-rebis.html

Disagio del corpo e paura del cambiamento, una maternità vissuta dolorosamente, come un sacrificio estremo che annulla partoriente e partorito nell'angoscia di perdersi l'uno nell'altro.
La voce slegata dal corpo anima una scenografia eterea ma opprimente, affine alle inquietanti tavole e alle bio-architetture di un visionario del futurismo corporeo come Giger: fisiologia e anatomia fuse in strutture inanimate alla ricerca di una definizione impossibile.

 

CITTANUOVA.IT - Al festival Ars Amando, di Giuseppe Di Stefanohttps://www.cittanuova.it/al-festival-ars-amando/?ms=005&se=003

Terzo studio Di una specie cattiva del Teatro Rebis, ricco di immagini e atmosfere lunari, dall’iniziale cumulo da dove affiora la performer, alla plasticità di un corpo sempre in trasformazione che fa emergere, tra sonorità, voci e visioni, l’universo poetico della scrittrice americana Sylvia Plath.

 

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