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GLI UOMINI STORTI

ovvero l’inapparenza di Kafka

 

Con Carlo Salvador

Oggetti di scena Laura Castellucci

Drammaturgia e regia Andrea Fazzini

 

Co-Produzione Gogmagog Teatro e Pilar Ternera in collaborazione con Teatro Rebis

Con il sostegno di Regione Toscana/Sistema Regionale dello Spettacolo, Giallo Mare Minimal Teatro, ERDIS Marche, Università degli studi di Macerata

 

"Non necessariamente gli uomini storti devono essere goffi o non ambiziosi nel movimento. Perché non essere storto e danzare?

O altrimenti piegarsi ancora, ma come in una curva precisa?"

Roberto Calasso a proposito degli disegni di Franz Kafka

 

Tra il 1910 e il 1911 una sgangherata compagnia polacca di guitti yiddish, il Teatro di Leopoli, si esibì regolarmente al Caffè Savoy di Praga, tra i tavoli malmessi e le birre che passavano di mano in mano, alternando canzoni popolari, strorielle e barzellette ebraiche, frammenti di drammi che finivano spesso in inconsapevoli farse.

Tra gli spettatori più continui e appassionati di quelle serate, Franz Kafka, incantato dalla “comicità melanconica dei loro gesti inappropriati”, si innamorò di un’esperta attrice della compagnia e divenne inseparabile amico di un giovane attore, che aiutò organizzando per lui un recital nella Sala delle Feste del Municipio ebraico di Praga, tenendo un discorso appassionato, nonostante la sua timidezza.

Quanti personaggi di Kafka assomiglieranno poi a quelle figure da cabaret, nella luce livida delle sue storie: Rotpetek, la scimmia che per sopravvivere inizia ad imitare gli uomini e diviene attore di varietà, Josefine la topolina cantante che si atteggia a diva, un trapezista allergico al suolo, sciacalli custodi di profezie, cani e sirene che intonano il silenzio, l’artista del digiuno che si spegne nella gabbia di un circo.

Da un racconto di I. B. Singer l’abbrivio dello spettacolo: alla fine della Seconda guerra mondiale, al Circolo degli artisti di Varsavia, un attore dedica un brindisi ad un altro attore, Jizchak Löwy, in arte Jacques Levi, vittima dell’olocausto, suo mentore e in passato grande amico di Kafka.

Per osmosi si addensano figure dai racconti, romanzi, lettere e diari dello scrittore ceco, a celebrarne l’amore per l’avanspettacolo e il grottesco, per l’innocenza nel torbido, il riso straniante, l’enigma in forma di leggenda.Nel divenire diacronico di un racconto squadernato, inapparirà Kafka in frammenti di opera, vita e visioni.

Una volta, passando davanti al padre dell’amico Max Brod che dormiva sul divano, vedendolo socchiudere gli occhi, con estrema dolcezza, gli sussurrò: “mi consideri un sogno”.

Giustificava così la sua inattitudine alla vita comune: “io sono adatto soltanto a funzioni apparenti”.

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